Finalmente la politica, tramite un’iniziativa governativa, ha deciso di tornare a occuparsi del tema “droga e dipendenze”, convocando la Conferenza nazionale attesa da ben 12 anni dagli studiosi e dagli operatori del settore.

Dal 1990, l’anno in cui fu approvata la normativa che ancora oggi detta le regole sul fenomeno, tutto è cambiato. Sono cambiate le strategie e le rotte del narcotraffico, con un rafforzamento delle mafie a livello globale, nuove forme di spaccio e di riciclaggio dei proventi illeciti attraverso un’infiltrazione capillare dell’economia legale. Sono cambiati gli stili di consumo e le sostanze psicoattive in circolazione, sempre più accessibili grazie ai prezzi pesantemente ribassati. Sono cambiati anche i modelli culturali di riferimento di chi assume droghe, e i simbolismi evocati nel farlo. È cambiato il mondo dei servizi socio-sanitari, sia pubblici che del privato-sociale, inclusi quelli dedicati alla cura e alla prevenzione delle dipendenze da sostanze e non solo. È cambiata, nel profondo, la società, e di conseguenza è cambiato il suo atteggiamento verso le sostanze legali e illegali, oltre che l’esposizione delle diverse fasce di popolazione ai consumi potenzialmente rischiosi: non esclusivamente le droghe. Oggi lo spettro delle situazioni che osserviamo è assai vasto. Molte più persone, di età e condizione socio-culturale diversa, incontrano le sostanze psicotrope nel corso della propria vita, e instaurano con esse rapporti più o meno sommersi, continuativi e difficili.
Dentro questo scenario in trasformazione, solo l’iniziativa legislativa è rimasta ferma. Gli unici interventi sono avvenuti infatti per via “extraparlamentare”: attraverso la sentenza “Torreggiani” della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul sovraffollamento carcerario, e la sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale, che ha decretato l’illegittimità di alcuni passaggio della legge Fini-Giovanardi. Queste pronunce hanno costretto la politica ad apportare i minimi correttivi necessari al testo normativo.
Oggi un cambiamento radicale della legge del ‘90 e del suo impianto punitivo non è più rinviabile, per diverse ragioni. La principale e più evidente poggia su dati certi: in trent’anni di applicazione questa legge non ha contribuito a ridurre il consumo di stupefacenti, ma soltanto a far crescere in modo esponenziale i processi per droga e le carcerazioni. Il bilancio della versione italiana della “guerra alla droga”, ispirata dalla “war on drugs” del Presidente Reagan negli U.S.A., è fallimentare sia nelle premesse teoriche che nell’applicazione, in particolare per quanto riguarda gli aspetti preventivi. Né i procedimenti amministrativi (mediamente 80.000 ogni anno, al netto della pandemia Covid del 2020), né la sanzione detentiva applicata anche per lo spaccio al minuto allo scopo di convincere i giovani consumatori a curarsi, hanno ottenuto i risultati auspicati.
I dati del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria aggiornati al 24 settembre 2021 indicano che su 53.834 detenuti totali (al cospetto di una capienza complessiva ufficiale delle carceri italiane di 50.851 posti), 18.888 persone sono recluse per reati legati alla droga, e di questi 12.334 con sentenza definitiva. Un quarto della popolazione carceraria è certificata come tossicodipendente. Potrebbero fruire di misure alternative almeno 1.874 detenuti condannati sotto i 3 anni, e 7.867 ai quali ne restano da scontare meno di 4: il loro insieme costituisce il 70% degli attuali reclusi per reati correlati alla droga. Queste persone si trovano in carcere nonostante la legislazione in teoria garantisca loro soluzioni diverse.
La legge, a una verifica trentennale, fallisce nel perseguire gli obiettivi di salute, non riesce a svolgere le funzioni rieducative e riabilitative che si era proposta, comporta costi ingenti senza risultati misurabili, crea sovraffollamento carcerario, non riduce il tasso di recidiva. Inoltre, come effetto del suo approccio penale, espone chi consuma droghe in forma più o meno problematica a situazioni di ulteriore ed evitabile disagio (carcerazione, problemi legali, perdita del lavoro, stigma sociale ecc.).
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